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Comunione legale tra coniugi: diritti di credito fuori dalla comunione se il preliminare non riporta la firma congiunta

6 Giugno 2016

Corte di cassazione – Sezione II civiile – Sentenza 3 giugno 2016 n. 11504

La comunione legale tra i coniugi riguarda e comprende tutti gli atti che comportano un trasferimento del diritto di proprietà o la costituzione di altri diritti reali e non i diritti di credito sorti dal preliminare concluso da uno solo dei coniugi.

Quindi – chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 11504/2016 – in caso di preliminare stipulato da uno solo dei coniugi l’altro non può vantare alcun diritto, non essendo legittimato ad agire ex articolo 2932 del codice civile.

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La vicenda – Nel caso concreto il marito aveva siglato con una società immobiliare un contratto preliminare di acquisto. Successivamente la società si era resa inadempiente così in base a quanto stabilito dalle norme civilistiche era divenuto titolare della proprietà dell’immobile.

Nel frattempo i coniugi si erano anche separati. E in questa fase la ex moglie ha proposto ricorso in Cassazione eccependo che se la ragione della comunione legale risiede nell’esigenza di far beneficiare i coniugi di tutti gli incrementi economici acquisiti al loro patrimonio, non comprendeva il motivo per cui l’acquisto di un diritto di credito dovesse esserne escluso, trattandosi anche in tal caso di un incremento patrimoniale. Quindi secondo la tesi della ex ricorrente «ritenere compresi negli acquisti anche i diritti di credito risponde appieno alla finalità perseguita dal legislatore della riforma del 1975 che è stata non solo quella di dare attuazione al principio di parità e solidarietà tra i coniugi ma anche quella di parificare la partecipazione dei coniugi alle ricchezze e agli incrementi patrimoniali realizzati durante la vita matrimoniale».

Il diritto di credito non rientra nella comunione – Sul punto, però, i Supremi giudici hanno puntualizzato come non possa rientrare nella comunione un diritto di credito sorto sulla base di un contratto preliminare stipulato esclusivamente da un coniuge. Diritto di credito nato come detto a causa dell’inadempimento della società venditrice dell’immobile e che ha generato la titolarità dell’immobile piena ed esclusiva a solo carico dell’ex marito. Logica conseguenza della sentenza è che in caso di preliminare stipulato da uno solo dei coniugi l’altro non può vantare alcun diritto.

Per maggiori informazioni contatta lo Studio legale Avvocati Palermo al n.091.8436402 o scrivi una mail a avv.conigliaro@avvocatipalermo.com

 

Il periodo di 36 mesi sigla il contratto a tempo indeterminato: vademecum della Cassazione

3 Giugno 2016

Corte di cassazione – Sezioni unite civili – Sentenza 1° giugno 2016 n. 11374

Il contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dalle Poste italiane e i casi in cui questo si possa trasformare a tempo indeterminato. Questo argomento nel recente passato ha generato una mole di contenzioso notevole che spesso ha finito per ingolfare il lavoro della Suprema Corte. Alla luce di queste riflessioni va vista con estremo interesse la pronuncia delle Sezioni unite n. 11374/2016 che ha fornito una serie di chiarimenti da cui non si può più prescindere.

img_gruppo_home920x427I cardini fissati dalla Cassazione – La decisione, infatti, ha fissato dei criteri che necessariamente dovranno essere considerati punti di riferimento a cui i giudici di merito dovranno attenersi senza che la questione debba finire sul tavolo di legittimità. I giudici – con la decisione – hanno ripercorso l’iter normativo sul contratto a tempo determinato dalla sua enunciazione primaria ex articolo 1 della legge 230/1962, fino ad arrivare ad analizzare il Dlgs 368/2001 e le successive modifiche. E proprio sulla base di quest’ultima legge la sentenza ha espresso il principio di diritto in base al quale le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentano i requisiti specificati dal comma 1-bis dell’articolo 2 del Dlgs, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo organizzativo o sostitutivo ex articolo 1 del Dlgs appena richiamato. E già questa va considerata una grande novità visto che in passato il contratto a tempo determinato era una forma di negozio assolutamente atipica che doveva trovare una sua fonte autorizzativa. La legge ha, quindi, previsto la figura di lavoro a tempo determinato accanto a quella a tempo indeterminato. Ora, seguendo sempre l’evoluzione normativa, la Corte ha precisato che l’articolo 5, comma 4-bis del Dlgs 368/2001 introdotto dalla legge 247/2007 stabilisce che qualora per effetto di una successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore superi il periodo di 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che sono intercorsi tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si deve considerare a tempo indeterminato. Questo appena richiamato segna, dunque, il secondo importante chiarimento.

Il tema più “spinoso” – Ma i Supremi giudici si sono spinti oltre e hanno voluto affrontare la questione forse più spinosa. Quella cioè legata alla successione nel tempo di più contratti a tempo determinato. E allora se il contratto successivo viene stipulato senza soluzione di continuità con il primo (o comunque con un contratto precedente) il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla data di stipula del primo contratto. Se poi il primo contratto ha durata inferiore a 6 mesi e il lavoratore viene riassunto entro dieci giorni dalla scadenza del primo, il contratto si considera a tempo indeterminato (ex articolo 5, comma 3, del Dlgs 368/2001). Altra ipotesi poi se il primo contratto ha durata superiore a sei mesi e il lavoratore viene riassunto entro venti giorni dalla data di scadenza. Anche in questo caso il contratto si considera a tempo indeterminato.

Il periodo di 36 mesi sigla il contratto a tempo indeterminato – Nell’ipotesi poi in cui due o più contratti a termine in successione tra loro, con intervalli tra l’uno e l’altro, superiori a quelli indicati nelle ipotesi esaminate in precedenza, la normativa italiana prevede una delle misure previste dalla clausola n. 5 dell’accordo europeo, e cioè il limite massimo di 36 mesi da calcolare indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro. Quindi quel limite temporale opera quale che sia la durata dell’intervallo, anche se i contratti sono distanti molti mesi tra loro il contratto si considera sempre a tempo indeterminato. Chiarimenti questi di notevole interesse che serviranno sicuramente a creare quel discrimen perché un contratto possa considerarsi a tempo determinato senza alcuna evoluzione e invece quando, in presenza di precise circostanze, possa trasformarsi a tempo indeterminato.

Il suddetto orientamento, può chiaramente applicarsi a tutte le fattispecie di lavoro subordinato.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocati Palermo al n.091.8436402 o scrivi una mail a avv.conigliaro@avvocatipalermo.com

Giudici onorari, in “Gazzetta” il Dlgs 31 maggio 2016, n.92, sulla conferma degli incarichi

3 Giugno 2016

Pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” e immediatamente in vigore il decreto legislativo sulla disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e sulle disposizioni per la conferma nell’incarico dei giudici di pace,Giudicipace[1]-kYLC-U101073972155TKI-258x258@Diritto24dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio.

Si tratta del primo decreto legislativo di attuazione della legge 28 aprile 2016 n. 57 di delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria.

Il provvedimento prevede il mantenimento in servizio, per un primo mandato di durata quadriennale, dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio alla medesima data, a condizione che siano ritenuti idonei allo svolgimento delle funzioni giudiziarie onorarie all’esito di una articolata procedura di conferma, disciplinata con il decreto stesso. È un primo intervento di riforma organica della magistratura onoraria, considerato che dal 2003 ad oggi la gran parte dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari sono in servizio mediante reiterati interventi normativi di proroga annuale senza alcuna preventiva verifica di idoneità all’esercizio delle funzioni.

La disciplina dei successivi tre mandati quadriennali, espressamente prevista dalla legge di delega, viene riservata a un successivo decreto legislativo di attuazione, tenuto conto che tale disciplina non può prescindere dalla regolazione della procedura di conferma a regime nonché delle modalità di inserimento nell’ufficio per il processo e dei vice procuratori onorari e dei compiti ad esso inerenti.

Si allega La Relazione di accompagnamento

Per conoscere l’opinione dei nostri lettori, saremo lieti di leggere le mail inoltrate a avv.conigliaro@avvocatipalermo.com

Danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare: responsabilità imputabile a tutti i condomini ed al proprietario dell’ultimo piano

1 Giugno 2016

Quando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’articolo 2051 del Cc, sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (articolo 1130, primo comma, n. 4, del Cc) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (articolo 1135, comma 1, n. 4, del Cc).

Questo il pdanni-da-infiltrazionirincipio sancito dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la Sentenza 28 aprile-10 maggio 2016, n. 9449.

Il ragionamento dei Giudici di legittimità prende le mosse dall’assunto che segue.

E così, in tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile, sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (articolo 1130, primo comma, n. 4, del codice civile) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (articolo 1135, primo comma, n. 4, del codice civile). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’articolo 1126 del codice civile, il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio.

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Locazioni: compensazione dei crediti reciproci senza prescrizione

31 Maggio 2016

Nel caso di reciproco inadempimento dell’affittuario (per il mancato pagamento dei canoni) e del proprietario (per danni di diversa natura) di un locale adibito a discoteca si può procedere alla compensazione dei rispettivi crediti senza considerare lo scadere dei termini di prescrizione. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 10750/2016, rigettando il ricorso della società che gestiva il locale notturno.

contratto-affitto-chiavi-cedolare-marka-672-351Il conduttore, attuale ricorrente, aveva interrotto il pagamento dei canoni a seguito di bollette elettriche ritenute «incompatibili» con il consumo del locale. Le parti infatti avevano «verbalmente» convenuto che gli importi dovuti sarebbero stati quantificati di volta in volta dal locatore in quanto il consumo era condiviso con il supermercato posto al piano superiore, e sempre di sua proprietà, unica essendo la cabina Enel. Preso atto del mancato pagamento della pigione, il proprietario del locale aveva avviato la procedura di sfratto per morosità. Nel frattempo la fornitura di energia era stata sospesa in diverse occasioni per morosità del concedente sino a quando la prefettura aveva dichiarato l’inagibilità dei locali. Dopo lo sfratto il gestore aveva però chiesto il risarcimento dei danni subiti oltreché la restituzione dei titoli cambiari forniti in garanzia.

La società proprietaria, invece, in via riconvenzionale, aveva chiesto il pagamento dei canoni arretrati. Il giudice di primo grado ha deciso per la restituzione dei titoli di garanzia, ma ha respinto le altre domande dichiarando integralmente compensate le reciproche ragioni di credito. E la Corte di appello ha confermato.

Proposto ricorso in Cassazione, il ricorrente contesta l’applicazione dell’articolo 1242, comma 2, del c.c. secondo cui «la prescrizione non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti». Per la Suprema corte però il motivo è infondato in quanto correttamente il giudice di secondo grado ha ritenuto che «le reciproche ragioni di credito, pur avendo il loro comune presupposto nel contratto di affitto, non potevano ritenersi derivanti da un unico rapporto, risultando diversi gli elementi costitutivi delle rispettive pretese (derivanti, l’una, da un titolo contrattuale, l’altra da uno speculare titolo aquiliano)». La decisione dunque è corretta proprio perché fondata sulla «diversità dei titoli, pur premessa la unicità della fonte delle reciproche pretese». Né giova al ricorrente richiamare sul punto quei precedenti di Cassazione (Cass. 2171/1997; 18498/06) che predicano «l’inapplicabilità dell’istituto della compensazione in presenza di un medesimo rapporto, poiché quella giurisprudenza si riferisce a rapporti pur sempre e solo contrattuali, benché diversi, con riguardo alle rispettive ragioni di credito, quanto al relativo petitum sostanziale – risarcitorio da inadempimento contrattuale – restitutorio da mancato pagamento».

In definitiva, conclude la sentenza, nella specie risulta inapplicabile «la pur invocata prescrizione del diritto al pagamento dei canoni d’affitto avanzata dall’affittuario nel giudizio di merito, versandosi in ipotesi di compensazione legale, operante, come è noto, con effetto ex tunc, dal momento della coesistenza delle rispettive ragioni di credito».

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LOCAZIONI – VIZI DELL’IMMOBILE: DUE CHANCES PER IL CONDUTTORE

26 Maggio 2016
Nel caso in cui l’immobile condotto in locazione sia affetto da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili.
Questo il contenuto dell’art.1578 c.c.; al comma 2 della detta disposizione legislativa è sancito che “il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna“.
Affitto-Cartello-825x340Due le chances poste dalla legge a favore del conduttore: la risoluzione del contratto, da accertare giudizialmente o la riduzione del corrispettivo.
Quanto alla risoluzione del contratto, il conduttore potrà darne mera comunicazione al locatore , ma in caso di contestazione dei presupposti, sarà l’Autorità Giudiziaria a doverne accertare la sussistenza.
Altra possibilità sancita dalla normativa in esame è quella di definire, di comune accordo tra le parti, una riduzione del canone mensile di locazione; con la conseguenza che, in caso di mancato accordo, il conduttore potrà agire giudizialmente, al fine di ottenere un accertamento finalizzato all’esistenza dei vizi della cosa locata, che siano tali da diminuirne il valore e, pertanto, di non consentirne il pieno utilizzo per come contrattualmente convenuto.
Certamente, la normativa esaminata non autorizza il conduttore a non versare i canoni maturati.
A tal proposito, è d’uopo richiamare il recente orientamento giurisprudenziale in forza del quale “in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone – e, cioe’, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’articolo 1578 c.c., comma 1, per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata; tale norma, infatti, non da’ facolta’ al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo di domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti”: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10271 del 16 luglio 2002; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 9955 del 13 ottobre 1997; Sez. 3, Sentenza n. 10639 del 26 giugno 2012; Sez. 3, Sentenza n. 26540 del 17 dicembre 2014).”
Ciò, a dire della giurisprudenza di legittimità, che ha sancito i detti principi con la Sentenza 18 aprile 2016, n. 7636.
Per maggiori informazioni, contatto lo Studio Legale Avvocati Palermo al n.091.8436402 o scrivi a avv.conigliaro@avvocatipalermo.com
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