Studio Legale Avv. Conigliaro – avvocati palermo
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La strumentalizzazione dei figli per vendicarsi del partner è maltrattamento; lo dice la Cassazione!

27 Settembre 2022

Le pressioni psicologiche esercitate nei confronti dei figli minorenni per scopi vendicativi nei confronti del coniuge costituiscono reato. Lo afferma la Corte di Cassazione spiegando che in tali fattispecie si può essere condannati per il reato previsto dall’art. 572 del codice penale.

La decisione è della sesta sezione penale della Corte che ha così confermato una condanna per maltrattamenti inflitta ad una mamma che aveva cercato di mettere suo figlio contro il padre. La donna era stata già condannata dai giudici di merito e si era rivolta alla suprema Corte per sostenere che suoi comportamenti (che i consulenti avevanmo descritto come “portati a strumentalizzare i figli per scopi vendicativi nei confronti del coniuge” non potevano configurare il reato di maltrattamenti. I giudici della Corte hanno respinto il ricorso evidenziando che come emerso peraltro dall’istruttoria “i maltrattamenti erano stati realizzati mediante una pluralita’ e continuita’ di condotte vessatorie fatte di ripetute minacce, ingiurie e umiliazioni sorrette da consapevole malafede, sicuramente integranti il delitto contestato e hanno accertato gli effetti devastanti prodotti da tali condotte sulla crescita del minore”.

 

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocato Valentina Conigliaro alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

 

Cartelle di pagamento, buste nere e debiti verso l’Erario: sono sempre dovuti?

13 Dicembre 2021

A far data dal 01 giugno 2021, è ripresa l’attività di riscossione del Concessionario, Agenzia per la Riscossione S.p.a., meglio nota come la temuta “Serit”.

Ebbene, se avete ricevuto o riceverete presso la Vostra residenza la tanto temuta “busta nera”, non temete; talvolta, talune pretese non sono necessariamente dovute, sia per difetto dei requisiti di debenza del tributo, sia per motivi di forma, sia perchè la pretesa si è “prescritta”, essendo trascorso un notevole lasso di tempo dalla ricezione dell’ultimo avviso di pagamento.

Invero, non versare gli importi richiesti che sono realmente dovuti, potrebbe portare il contribuente ad un ulteriore aggravio di costi che potrebbe essere risparmiato attraverso un esame dell’effettiva debenza delle somme che Vi vengono richieste.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocato Valentina Conigliaro alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

Risarcimento del danno non patrimoniale e infedeltà coniugale

16 Novembre 2021

È noto che il tradimento sia la causa principale delle crisi coniugali e, di conseguenza, delle cause di separazione tra i coniugi. Se, da un lato, esso integra un condotta considerata, ancora, come moralmente riprovevole tanto che colui che la commette difficilmente, per lungo tempo, riesce a scrollarsi di dosso l’etichetta del traditore, dall’altro, esso comporta delle conseguenze giuridicamente rilevanti alle quali il fedifrago difficilmente pensa nell’atto in cui è impegnato a commettere il tradimento.
È ormai pacifico, infatti, nella giurisprudenza in materia, sempre più ricca e frequente, che l’infedeltà coniugale, oltre a essere causa di addebito della separazione, comporti l’obbligo del risarcimento del danno in favore del coniuge tradito, in particolare, laddove il tradimento si sia consumato secondo modalità particolarmente lesive. L’art. 143 c.c. stabilisce che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
Tale disposizione, quindi, annovera il dovere di fedeltà tra i doveri nascenti dal matrimonio la cui violazione può comportare, da un lato, la pronuncia della separazione con addebito, anche a sensi dell’art. 151 c.c. secondo il quale «la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.
Il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio», dall’altro, essa può essere fonte anche di risarcimento del danno.
Il riferimento normativo per giustificare tale diritto al risarcimento, anche se di primo acchito potrebbe pensarsi sia l’art. 1218 c.c., è rappresentato, senza dubbio alcuno, dagli artt. 2043 e 2059 c.c. Per rispettare lo schema di cui all’art. 2043 c.c. è, ovviamente, necessario che tra l’infedeltà e il danno lamentato sussista un rapporto di causalità, rapporto quest’ultimo che andrà provato dal coniuge che avanza la richiesta risarcitoria.
Sul punto, difatti, la giurisprudenza della Suprema Corte è concorde nel ritenere che grava sulla parte che richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge per inosservanza dell’obbligo di fedeltà l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza; viceversa, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, ossia l’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, dimostrare le circostanze su cui tale eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (Cassazione civ., ord. 5 agosto 2020, n. 16691; In tal senso, si v. Tribunale di Oristano, 4 febbraio 2021, n. 63).
Il nesso eziologico, quindi, dovrà di certo escludersi quando l’infedeltà si inserisce in un contesto matrimoniale già in crisi oppure quando essa sia stata superata dai coniugi i quali hanno ripreso un andamento sereno della propria vita matrimoniale.

E proprio alla luce del principio da ultimo menzionato, la giurisprudenza e la dottrina hanno superato la concezione di fedeltà solo come obbligo dall’astenersi da rapporti fisici con altre persone, dando così rilievo oltre che al c.d. “tradimento platonico”, che ricorre quando, malgrado l’assenza di rapporti sessuali, il coniuge nutra un certo coinvolgimento affettivo per un terzo, anche al c.d. “tradimento apparente” che ricorre, in particolare, ogniqualvolta il coniuge abbia posto in essere delle condotte tali da far percepire all’esterno la consumazione di un tradimento.

Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali attuali è possibile concludere che va escluso qualsiasi nesso di pregiudizialità tra la pronuncia giudiziale di separazione con addebito e azione risarcitoria per infedeltà coniugale.
Il coniuge tradito, quindi, il quale si trova d’accordo con l’altro coniuge a definire la separazione alle condizioni stabilite concordemente, potrà scegliere di evitare un giudizio di separazione giudiziale, aderendo a una soluzione consensuale, ma potrà comunque agire con un’azione autonoma volta al riconoscimento giudiziale del diritto al risarcimento del danno subito a seguito dell’infedeltà, se tale infedeltà abbia provocato un danno ingiusto meritevole di tutela costituzionale da intendersi nella accezione di cui all’art. 2059 c.c. In questo modo, e solo in questo modo, si potrà ottenere la reintegra del pregiudizio subito dal coniuge tradito e la reale elisione degli effetti negati della condotta fedifraga. Fermo restando che, in ogni caso, il coniuge tradito potrà chiedere il risarcimento del danno contestualmente alla richiesta di addebito nell’ambito del processo per separazione purché, però, e questo è il principio pacificamente riconosciuto dalla Suprema Corte, il danno consista nella lesione di diritti costituzionalmente meritevoli di tutela. Va ricordato, infine, che la giurisprudenza non ritiene più necessaria la ricorrenza di condotte costituenti autonomi illeciti rispetto al tradimento, ovvero condotte ingiuriose o diffamatorie del coniuge, risultando sufficiente che il danno ingiusto sia stato provocato dal tradimento in sé e per sé e che lo stesso abbia inciso su diritti essenziali della vita, anche “solo” quello della realizzazione nell’ambito della vita familiare.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocato Valentina Conigliaro alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

Via libera agli indennizzi per i voucher turistici inutilizzati.

16 Novembre 2021

È stato  pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 novembre n. 272 il decreto 10 settembre 2021, n. 160 del Ministero del Turismo: “Regolamento recante disposizioni applicative concernenti il Fondo per  l’indennizzo dei consumatori titolari di voucher emessi ai sensi dell’articolo 88-bis del Dl 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27). Il provvedimento entra in vigore il prossimo 30 novembre.

I consumatori titolari di voucher non utilizzati avranno diritto agli indennizzi.

Il decreto, dunque, come chiarisce l’articolo 1, definisce “i criteri e le modalità” per l’erogazione delle risorse del Fondo che ha una dotazione di 1 milione di euro per l’anno 2021, nonché la misura per l’indennizzo dei consumatori titolari di voucher non utilizzati alla scadenza e non rimborsati a causa dell’insolvenza o del fallimento dell’operatore turistico o del vettore.

Per presentare la propria richiesta ci sarà tempo massimo fino alle ore 12,00 del 31 dicembre 2021.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocato Valentina Conigliaro alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

Suicidio assistito: ancora un taboo?!

12 Aprile 2021

E’ iniziato il 24 marzo 2021, nelle Marche, il procedimento di urgenza contro una Asl che si è rifiutata di applicare la “sentenza Cappato”, emanata dalla Corte Costituzionale il 22 novembre 2019 in relazione al suicidio assistito di Fabiano Antoniani (detto Fabo).

Costituisce oggetto del procedimento al vaglio dei giudici marchigiani il suicidio assistito richiesto da un uomo di 42 anni affetto da tetraplegia irreversibile.

Dopo il diniego ricevuto dall’azienda sanitaria di riferimento, il soggetto, seguito dagli avvocati del Comitato dei giuristi per le libertà dell’Associazione Luca Coscioni, ha chiesto l’intervento del giudice al fine avviare l’iter previsto dalla sentenza n. 242 del 2019 della Consulta. Nello specifico, l’Asl deve effettuare le verifiche per l’accertamento dello stato di salute in cui versa il paziente, per poi procedere, dopo il parere positivo rilasciato dal comitato etico, alla prescrizione del farmaco letale.

Secondo la Corte costituzionale, infatti, è legittimo che i malati gravissimi versanti in determinate condizioni possano far richiesta di porre fine alle proprie sofferenze, attraverso una procedura che, tramite Servizio Sanitario Nazionale, metta in pratica il suicidio medicalmente assistito.

La “sentenza Cappato”, in particolare, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, rubricato “Istigazione o aiuto al suicidio” per la sola parte relativa all’aiuto al suicidio, stabilendo che non è punibile esclusivamente se fornito a una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

In attesa della decisione dei giudici, Filomena Gallo, avvocato del collegio difensore e Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, ha dichiarato che «è una crudeltà inaudita che i cittadini in condizioni gravissime debbano passare per i tribunali per ottenere risposte sull’esercizio dei propri diritti costituzionali. Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, quello della Giustizia, Marta Cartabia, e tutto il Governo dovrebbero procedere nel rispetto della Costituzione con gli atti necessari affinché le strutture pubbliche del Ssn applichino la sentenza della Corte costituzionale».

 

“Privacy” e Diritto d’accesso “civico”: esigenze e tutele a confronto

30 Marzo 2021

L’esercizio del diritto di accesso – in ambito privacy – può trovare dei limiti e delle eccezioni come, ad esempio, nello svolgimento di indagini difensive o nell’esercizio di un diritto in sede giudiziaria.

Il Garante per la protezione dei dati personali recentemente ha diffuso delle sintetiche guide operative in formato di “schede” per spiegare ai cittadini, con linguaggio semplice e chiaro, non solo il diritto di accesso dell’interessato disciplinato dalla normativa privacy, ma anche gli istituti dell’accesso civico (semplice e generalizzato) previsti dalla normativa in materia di trasparenza amministrativa, nonché lo strumento dell’accesso ai documenti amministrativi ai sensi della Legge generale sul procedimento amministrativo.

Trasparenza amministrativa: accesso civico semplice e generalizzato

Per descrivere gli istituti giuridici introdotti dal Legislatore ai fini della valorizzazione del principio di trasparenza nell’ambito dei processi della Pubblica amministrazione, occorre innanzitutto partire dalla definizione del concetto stesso di “trasparenza” contenuto nell’art. 1, comma 1, D.Lgs. 33/2013 (cd. “Testo unico sulla trasparenza”). La trasparenza va intesa come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Il Legislatore parla di “accessibilità totale” ed è evidente come la scelta, a livello terminologico, di utilizzare tale aggettivo è coerente con le finalità dello strumento giuridico che vuole un’apertura della P.A. a 360 gradi, nella consueta immagine della Pubblica amministrazione che deve “aprirsi all’esterno” come se fosse una “casa di vetro”.

La trasparenza concorre ad attuare principi di rilevanza costituzionale, partendo dal principio democratico arrivando ai principi di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche. La trasparenza, inoltre, contribuisce ad integrare il diritto ad una buona amministrazione e la realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino. In generale, il Legislatore per dare concreta efficacia alla trasparenza amministrativa ha introdotto due istituti:
a) la pubblicazione obbligatoria nei siti istituzionali delle Amministrazioni (nella sezione “Amministrazione trasparente”) di determinati atti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione della P.A specificatamente previsti dal T.U. sulla trasparenza;
b) l’accesso civico, nella sua doppia veste di accesso civico semplice e accesso civico generalizzato.

In particolare, l’accesso civico semplice, disciplinato dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. 33/2013 fa riferimento al diritto di chiunque di richiedere la pubblicazione di dati, documenti e info che la P.A. ha l’obbligo di pubblicare, nel caso in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.

Mentre, l’accesso civico generalizzato (cd. FOIA, Freedom Of Information Act – introdotto dal D.Lgs. 97/2016, che ha modificato T.U. sulla trasparenza) attribuisce il diritto a chiunque di accedere ai dati e documenti detenuti dalle P.A. “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria.

È chiaro che il FOIA è stato introdotto allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e al fine di promuovere la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico.

Tale diritto va esercitato nel rispetto dei limiti ex art. 5-bis, D.Lgs. 33/2013: tali limiti sono posti da un lato per la tutela di determinati interessi pubblici (come la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni miliari), e dall’altro lato a presidio di interessi privati (dei soggetti controinteressati) giuridicamente rilevanti. Nello specifico, un’istanza di accesso civico generalizzato può essere respinta dalla P.A. quando il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati che fanno riferimento a tre aree:
1) la protezione dei dati personali in conformità alla disciplina prevista in tale ambito;
2) la libertà e segretezza della corrispondenza;
3) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.

Sostanzialmente l’accesso civico generalizzato si può esercitare all’interno di determinati “confini”, limiti posti a tutela di interessi qualificati e giuridicamente rilavanti, comportando che la regola generale dell’accessibilità sia temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati.

L’esercizio del diritto di accesso civico, sia nella forma di accesso civico semplice che nella forma di accesso civico generalizzato, non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, infatti il Legislatore specifica che esso è esercitabile da “chiunque”. Inoltre, l’istanza di accesso civico (sia semplice che generalizzato) deve identificare i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione.

Entrambe le tipologie di accesso civico qui descritte (sia semplice che generalizzato) si differenziano dell’istituto del diritto di accesso ai documenti amministrativi disciplinato dal Capo V, L. 241/1990 (cd. “Legge generale sul procedimento amministrativo”), in quanto quest’ultimo richiede che il soggetto richiedente sia in possesso di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente collegata al documento di cui si richiede l’accesso. Inoltre, la richiesta di accesso ai documenti amministrativi (che si concretizza nel diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi), va motivata, a differenza delle due tipologie di accesso civico in commento che, invece, come sopra evidenziato, non necessitano di motivazione per essere esercitate. Un elemento che accomuna il diritto di accesso civico e il diritto di accesso ai documenti amministrativi è rappresentato dalla gratuità del servizio, salvo l’eventuale rimborso del costo di riproduzione e delle disposizioni in materia di bollo e diritto di ricerca e visura.

Come detto in premessa, il Garante privacy con due sintetiche e chiare schede esplicative spiega le modalità per il concreto esercizio delle tipologie di diritto di accesso fin qui descritte. Con una terza e distinta scheda operativa ha, invece, delineato la fisionomia di un’altra tipologia di accesso, che fuoriesce dall’ambito del diritto amministrativo descritto esorbitando dal campo di azione delle P.A., perché rientra nell’ambito della normativa privacy (si veda il paragrafo seguente).

Trattamento dei dati personali e normativa privacy: diritto di accesso dell’interessato

Ai sensi dell’art. 15, GDPR (General Data Protection Regolation – Regolamento sulla protezione dei dati dell’Unione Europea 2016/679), l’interessato può esercitare il cd. “diritto di accesso”, vale a dire la facoltà di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e, in caso positivo, può averne l’accesso e riceverne copia. Si ricorda che nel “linguaggio privacy” l’ “interessato” è la persona fisica cui si riferiscono i dati personali, mentre il “titolare del trattamento” rappresenta la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali.

In particolare, il titolare del trattamento è tenuto a fornire una copia dei dati personali oggetto di trattamento, in modo gratuito relativamente ad una copia; nel caso di ulteriori copie richieste dall’interessato, il titolare del trattamento può addebitare un contributo spese ragionevole basato sui costi amministrativi.

In generale, in virtù dell’art. 12, par. 1, GDPR, le informative (ex artt. 13 e 14) e le comunicazioni (tra le quali rientrano i riscontri al diritto di accesso) all’interessato devono essere date in forma scritta (oralmente solo se richiesto dall’interessato), in forma concisa, trasparente, intellegibile e con un linguaggio semplice e chiaro.

Inoltre, in base all’art. 15, GDPR, dedicato specificatamente al diritto di accesso, l’interessato ha accesso anche alle informazioni che riguardano:
– le finalità del trattamento;
– le categorie di dati personali in questione;
– i destinatari o le categorie di destinatari a cui i dati personali sono stati o saranno comunicati, in particolare se destinatari di Paesi terzi o organizzazioni internazionali;
– quando possibile, il periodo di conservazione dei dati personali previsto oppure, se non è possibile, i criteri utilizzati per determinare tale periodo;
– l’esistenza del diritto dell’interessato di chiedere al titolare del trattamento la rettifica o la cancellazione dei dati personali o la limitazione del trattamento dei dati personali che lo riguardano o di opporsi al loro trattamento;
– il diritto di proporre reclamo a un’autorità di controllo;
– qualora i dati non siano raccolti presso l’interessato, tutte le informazioni disponibili sulla loro origine;
– l’esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’art. 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato.
Come anticipato, il Garante privacy con una specifica scheda informativa e divulgativa fornisce a tutti gli interessati le informazioni basilari per l’esercizio di tale diritto di accesso.

Rapportando tale tipologia di accesso ai tipi di accesso descritti nel paragrafo precedente e inseriti nell’alveo del diritto amministrativo, occorre dire che anche l’esercizio del diritto di accesso in ambito privacy può trovare dei limiti e delle eccezioni. In particolare, il diritto di accesso dell’interessato non deve ledere i diritti e le libertà altrui o ad esempio causare un pregiudizio effettivo e concreto allo svolgimento di indagini difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria (art. 15, GDPR e artt. 2-undecies e 2-duodecies, D.Lgs. 196/2003 – Codice in materia di protezione dei dati personali).

Relativamente ai costi, anche in questo ambito la richiesta di accesso non implica costi, tuttavia se le richieste dell’interessato sono manifestamente infondate o eccessive, in particolare per il loro carattere ripetitivo, il titolare del trattamento può addebitare un contributo spese ragionevole, tenendo conto dei costi amministrativi sostenuti per fornire le informazioni (art. 12, par. 5, GDPR).

Infine, analogamente alle richieste di accesso civico (sia semplice che generalizzato), anche per l’esercizio del diritto di accesso in ambito privacy la motivazione non rappresenta un elemento essenziale della richiesta.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocato Valentina Conigliaro alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

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