Studio Legale Avv. Conigliaro – avvocati palermo
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Prescrizione e decadenza dei tributi post Covid

4 Gennaio 2024

Il susseguirsi delle norme e delle disposizioni ministeriali emanate durante il periodo emergenziale ha creato una situazione di confusione anche tra gli interpreti del diritto.

Il presente articolo cercherà di fornire gli opportuni chiarimenti a quanti di Voi si saranno trovati dinanzi a cartelle recapitate, relative a tributi datati.

La normativa emergenziale che ha disposto, da un lato, la sospensione degli adempimenti da parte dei contribuenti e, dall’altro, ha riconosciuto più tempo agli enti impositori e della riscossione per la notifica degli atti finalizzati al recupero dei tributi, sta creando una grande incertezza tra gli operatori in merito al calcolo dei termini di prescrizione e decadenza degli Uffici per la notifica di accertamenti e atti della riscossione.

Il punto di partenza per effettuare il computo dei termini è certamente l’art. 68 del D.L. 18/2020 il quale, dopo aver previsto al comma 1 la sospensione dei termini dei versamenti (scadenti nel periodo dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2021 derivanti da cartelle di pagamento nonché dagli avvisi di accertamento esecutivi), richiama l’art. 12 del D.Lgs. 159/2015 il quale, al comma 1, prevede la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza a favore degli Uffici per un periodo di tempo corrispondente alla sospensione dei termini di versamento (nel caso di specie pari a 542 giorni).

Sennonché il richiamato art. 12 contiene anche un secondo comma ai sensi del quale i termini di prescrizione e decadenza che scadono entro il 31 dicembre dell’anno o degli anni durante i quali si verifica la sospensione, sono prorogati fino al 31 dicembre del secondo anno successivo alla fine del periodo di sospensione: poiché la sospensione si è conclusa il 31 agosto 2021, la proroga è al 31 dicembre 2023.

In concreto, per stabilire in quale delle due ipotesi si rientra occorre preliminarmente verificare se il termine di prescrizione/decadenza in questione scadeva naturalmente nel biennio 2020-2021.

Se la risposta è positiva (il termine era in scadenza nel 2020 o nel 2021) i termini di prescrizione e decadenza slittano al 31 dicembre 2023,

Se la risposta è negativa (il termine era in scadenza, ad esempio, nel 2022) i termini di prescrizione sono sospesi per 542 giorni esatti.

Ma, per i carichi affidati all’Agente della riscossione (con esclusione, pare, di quelli affidati ai concessionari privati), non finisce qui.

L’art. 68 del Dl. 18/2020, oltre al fin qui descritto comma 1 (contenente il richiamo all’art. 12), stabilisce al comma 4-bis che, per i carichi affidati agli Agenti della riscossione dall’08 marzo 2020 al 31 dicembre 2021, si applica una sospensione dei termini di decadenza e prescrizione di 24 mesi.

Come coordinare, dunque, il comma 1 (e l’art. 12) con il comma 4-bis del richiamato art. 68? In particolare, per le fattispecie per i quali ricorrono entrambi i presupposti, trova applicazione la sospensione di 24 mesi, secondo la norma “speciale”, o la sospensione di soli 542 giorni?

In virtù del principio di specialità e considerata l’introduzione successiva di questo comma rispetto al comma 1 pare che la sospensione di 24 mesi prevalga sulla sospensione di 542 giorni ma, considerate le incertezze evidenziate anche dalla stampa specialistica, è preferibile adottare un approccio prudente, in attesa di conferme ufficiali o delle prime pronunce giurisprudenziali.

 

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio  alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

WhatsApp e sms: hanno valore probatorio?!

1 Dicembre 2023

L’avvento della tecnologia ha implementato il ventaglio probatorio; oggi la maggior parte degli scambi relazionali avvengono tramite gli strumenti informatici (messaggi su WhatsApp, chat, sms…).

I suddetti messaggi rivestono valore legale e probatorio?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 49016 del 2017, ha stabilito che le conversazioni contenute nelle chat di WhatsApp hanno valore di prova legale in giudizio, ma per la loro utilizzabilità è necessaria l’acquisizione del supporto telematico dove è avvenuta la comunicazione.

Infatti, secondo i giudici della Corte di Cassazione, i contenuti WhatsApp (immagini, messaggi, registrazioni audio) rappresentano la memorizzazione di fatti storici, e quindi devono essere considerati alla stregua di una prova documentale ex articolo 234 del Codice di Procedura Penale. Tale articolo, infatti, consente di acquisire in giudizio anche documenti che rappresentano fatti e persone mediante fotografie, cinematografia e fonografia o qualsiasi altro mezzo idoneo.

Dall’altro lato, però, la Cassazione ha ribadito che il valore legale della messaggistica è subordinato all’acquisizione in processo del supporto telematico che contiene la conversazione, in altre parole del telefono cellulare.

Le chat WhatsApp, per avere valore legale, è necessario che siano acquisite al processo rispettando determinate regole e modalità indicate dalla giurisprudenza. Il messaggio può fare ingresso all’interno del processo, e quindi assumere valore di prova, mediante la diretta acquisizione del cellulare contenente il messaggio. In questo caso, la sua trascrizione andrà a svolgere una funzione meramente riproduttiva del contenuto della prova documentale.

Nell’impossibilità di far acquisire lo smartphone, la giurisprudenza ha indicato altre vie per produrre in giudizio i messaggi. Il modo più agevole è lo screenshot del display del dispositivo stampato ed allegato al fascicolo processuale o, in alternativa, depositando una penna usb che lo contiene.

Oltre agli screenshot delle conversazioni, i messaggi potrebbero entrare nel processo come testimonianza di una persona che abbia letto i messaggi e che riferirà davanti al giudice sul contenuto di quanto ha letto personalmente.

Altra possibilità sarebbe quella di procurarsi una perizia giurata di parte, di un perito tecnico iscritto negli elenchi dei consulenti del tribunale, attestante l’autenticità del contenuto delle chat. Tale modalità consente la trascrizione e certificazione di eventuali messaggi vocali. Quest’ultima soluzione offre maggiore certezza rispetto alla semplice produzione dello screenshot.

Inoltre, la Corte di Cassazione, ha formalmente riconosciuto il valore di piena prova anche agli sms e ai messaggi e- mail (rientranti nelle riproduzioni meccaniche dell’articolo 2712 del Codice civile), i quali non possono essere disconosciuti mediante una generica contestazione dell’avvocato. Da ciò si deduce che i fatti con essi provati fanno piena prova.

Sms ed e-mail, tuttavia, possono sempre essere disconosciuti dalla controparte attraverso la contestazione: per questa sono necessari elementi chiari, espliciti e bene argomentati atti a dimostrare la non conformità tra gli sms/e-mail e la realtà.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio  alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

Risarcimento del danno da cose in custodia ex art. 2051 c.c.: la Cassazione chiarisce quali tabelle utilizzare

27 Novembre 2023

Con l’ordinanza n. 32373/2023 la Corte di Cassazione specifica a quali tabelle il giudice deve fare riferimento nel liquidare il danno derivante non da un sinistro stradale ma da cose in custodia.

Il caso: Mevia conveniva in giudizio il Comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non, in conseguenza di una caduta a causa di un tombino.

Il Giudice di Pace, espletata la CTU, accertava e dichiarava che la caduta della danneggiata era stata determinata dalla imprevedibile inclinazione del tombino, stimava il danno biologico subito dall’attrice nella misura di 1,5 di invalidità permanente, oltre ad un’inabilità temporanea relativa di giorni 15 al 75%, di giorni 25 al 50% e di ulteriori giorni 10 al 25%; e condannava il Comune al risarcimento dei danni patiti liquidati in complessivi euro 2778,52, oltre interessi legali dalla domanda.

Il Tribunale rigettava l’appello, rilevando che Mevia, nel contestare l’applicazione da parte del primo giudice dei “valori previsti per le lesioni cosiddette micropermanenti nel codice delle assicurazioni”, non ha allegato “alcun elemento che indichi l’incongruità della liquidazione, ad eccezione del (presunto, in quanto non espressamente richiamato dal giudice di prime cure in motivazione) richiamo ai valori di cui al Codice delle Assicurazioni in luogo delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano riferite all’anno del sinistro, che, peraltro, non risultano prodotte da nessuna delle parti”.

Mevia ricorre in Cassazione, rilevando che il giudice dell’appello avrebbe errato nel liquidare il danno facendo ricorso ai criteri indicati dal codice dell’assicurazione in luogo dei criteri indicati dalle tabelle del Tribunale di Milano.

Per la Cassazione la doglianza è fondata:

a) il giudice del merito ha liquidato il danno biologico rivendicato dall’odierna ricorrente attraverso l’applicazione delle tabelle indi

cate nel d.lgs. n. 209/2005, fonte normativa destinata a trovare applicazione unicamente nei casi di “danni alla persona derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione di veicoli a motore e di natanti” ex art. 139 c.a.p.);

b) nel caso di specie, tuttavia, il danno provocato a carico dell’odierna resistente derivava, non già dalla verificazione di un sinistro conseguente alla circolazione di veicoli a motore, bensì, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dal legittimo uso di un bene (la strada pubblica) custodito dall’ente convenuto, avendo la danneggiata espressamente dedotto di aver subito danni alla persona a seguito a caduta verificatosi a causa del tombino posto sul marciapiede;

c) sulla base di tali premesse, il Tribunale ha erroneamente applicato le tabelle di cui all’art. 139 cit. a un’ipotesi di danneggiamento non derivante da sinistri conseguenti alla circolazione stradale;

d) i criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall’art. 139 c.a.p., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradali

 

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio  alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

Assegnazione della casa familiare; secondo la Cassazione va tutelato l’interesse primario del figlio minore

14 Novembre 2023

Nei casi di crisi familiare ai sensi dell’art. 337 bis c.c., nel regolare il godimento della casa
familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con
la conseguenza che l’abitazione in cui quest’ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve
essere, di regola, assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno
che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli
il menzionato interesse del minore.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. 1 – , Ordinanza n. 23501 del 02/08/2023.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio  alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

Amministrazione di Sostegno: verso nuovi scenari di tutela

15 Febbraio 2023

L’amministrazione di sostegno è un istituto giuridico disciplinato dal Codice Civile italiano, introdotto con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004.

L’amministrazione di sostegno è destinata a tutelare le persone che, per causa di infermità o di deficit psichici o fisici, non sono in grado di provvedere ai propri interessi, sia personali che patrimoniali. In tali casi, il giudice può nominare un amministratore di sostegno, la cui funzione principale è quella di assistere e rappresentare la persona protetta nella gestione delle proprie attività quotidiane e nell’amministrazione dei propri beni.

L’amministrazione di sostegno può essere richiesta da chiunque abbia un interesse legittimo nella tutela della persona che ne ha bisogno, compresi parenti, amici, medici curanti o assistenti sociali. La richiesta deve essere presentata al tribunale del luogo di residenza della persona interessata, che provvederà a valutare la situazione e a nominare l’amministratore di sostegno.

L’amministratore di sostegno è tenuto a rispettare i desideri e le volontà della persona protetta, nella misura in cui questi siano compatibili con il suo stato di salute e la sua capacità di intendere e di volere. In ogni caso, l’amministratore di sostegno deve agire nell’interesse esclusivo della persona protetta, cercando di garantire la sua autonomia e la sua dignità.

L’amministrazione di sostegno può essere limitata o estesa a seconda delle esigenze della persona protetta. In particolare, può essere istituita un’amministrazione di sostegno limitata alle sole questioni personali, o estesa alla gestione dei beni della persona protetta, compresi quelli di natura immobiliare.

L’amministrazione di sostegno rappresenta un importante strumento di tutela per le persone che, per ragioni di salute o di fragilità, non sono in grado di gestire autonomamente la propria vita quotidiana e la propria situazione patrimoniale. Tuttavia, è importante che l’amministrazione di sostegno sia istituita solo nei casi in cui sia strettamente necessario, e che sia sempre orientata al massimo rispetto della dignità e dell’autonomia della persona protetta.

In caso di controversie o di violazioni dei diritti del soggetto protetto nell’ambito dell’amministrazione di sostegno, è possibile rivolgersi allo Studio Legale Avv. Valentina Conigliaro specializzato in diritto di famiglia e delle persone, al fine di tutelare i propri diritti e far valere le proprie ragioni.

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio  alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

La strumentalizzazione dei figli per vendicarsi del partner è maltrattamento; lo dice la Cassazione!

27 Settembre 2022

Le pressioni psicologiche esercitate nei confronti dei figli minorenni per scopi vendicativi nei confronti del coniuge costituiscono reato. Lo afferma la Corte di Cassazione spiegando che in tali fattispecie si può essere condannati per il reato previsto dall’art. 572 del codice penale.

La decisione è della sesta sezione penale della Corte che ha così confermato una condanna per maltrattamenti inflitta ad una mamma che aveva cercato di mettere suo figlio contro il padre. La donna era stata già condannata dai giudici di merito e si era rivolta alla suprema Corte per sostenere che suoi comportamenti (che i consulenti avevanmo descritto come “portati a strumentalizzare i figli per scopi vendicativi nei confronti del coniuge” non potevano configurare il reato di maltrattamenti. I giudici della Corte hanno respinto il ricorso evidenziando che come emerso peraltro dall’istruttoria “i maltrattamenti erano stati realizzati mediante una pluralita’ e continuita’ di condotte vessatorie fatte di ripetute minacce, ingiurie e umiliazioni sorrette da consapevole malafede, sicuramente integranti il delitto contestato e hanno accertato gli effetti devastanti prodotti da tali condotte sulla crescita del minore”.

 

Per maggiori informazioni, contatta lo Studio Legale Avvocato Valentina Conigliaro alla mail info@avvocatovalentinaconigliaro.it o al n.3755473095

 

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