Malattia del lavoratore e svolgimento di altre attività lavorative

Una rilevante decisione della Corte di Cassazione ha sancito i limiti del licenziamento irrogato al lavoratore che, in malattia, sia stato colto nello svolgimento di un’ulteriore attività lavorativa.

E così, risulta illegittimo il licenziamento inflitto al lavoratore in malattia (affetto da esaurimento) che sia stato trovato a lavorare presso la tabaccheria della moglie. Questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza della Cassazione n. 30417/17.

I fatti. La vicenda nel merito aveva avuto due esiti differenti. Mentre, infatti, il Tribunale di Modena aveva respinto la domanda del malato precisando che la condotta configurava inadempienza ai doveri generali di correttezza e di buona fede e che tale attività esterna faceva presumere l’inesistenza della malattia. In definitiva si trattava di un artificio per procurarsi indebiti vantaggi. Di diverso avviso, invece, la Corte d’appello di Bologna secondo cui la certificazione medica che attestava lo stato di disturbo dell’adattamento con sindrome mista dovesse essere presa in considerazione dal referto medico dell’Unità operativa di salute mentale di Pavullo. I giudici di seconde cure non hanno ravvisato un’incompatibilità assoluta a svolgere il lavoro saltuariamente presso la tabaccheria della moglie in funzione della natura dei due lavori completamente differenti. La Cassazione ha respinto il ricorso proposto dalla società confermando quindi la decisione di secondo grado. A tal proposito in modo abbastanza criticabile la società ricorrente aveva eccepito come la malattia del dipendente dovesse essere valutata alla stregua dei criteri clinici e ciò non era avvenuto, non avendo la corte considerato che colui che è affetto in modo apprezzabile dal disturbo dell’adattamento non potesse lavorare in termini assoluti. Trattandosi comunque di una reazione individuale a un evento ritenuto stressante che comprometteva tout court la capacità lavorativa, il prestatore non poteva lavorare in un esercizio commerciale né mettersi alla guida del pulmann.

Le conclusioni della Corte. La Cassazione nelle motivazioni ha fatto prevalere il buon senso specificando come tra le due attività ci fosse una sostanziale differenza e che quindi mentre l’attività in tabaccheria non poteva provocare di fatto danni particolari, diversamente mettersi alla guida di un pulmann in quello stato psicofisico poteva rilevarsi attività assai differente e pericolosa.

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